Thomas Niedermayr pioniere in Italia
Negli ultimi anni, sempre più viticoltori e produttori di vino hanno adottato una pratica agricola innovativa per proteggere le loro viti dalle malattie fungine. I vitigni PIWI, cioè “pilzwiderstandsfähige Rebsorten” ovvero “varietà di vite resistenti ai funghi” sembrano essere non solo la soluzione ma una nuova opportunità.

La viticoltura ha bisogno di nuovi vitigni resistenti ai funghi e allo stress per poter sfidare i cambiamenti climatici. L’aumento progressivo delle temperature infatti provoca l’ allungamento del ciclo vegetativo delle piante così come quello dei cicli biologici di patogeni ed insetti aumentandone la virulenza e l’ aggressività sulle piante.
Il cambiamento climatico tuttavia non si può combattere solo coltivando la vite in luoghi impensabili solo 20 anni fa, vedi l’Inghilterra del sud. Da gestire c’è anche l’aumento progressivo del tenore alcolico e il clima sempre più irregolare. A tutto ciò si aggiungono i nuovi patogeni come la Drosophila Suzukima anche la già nota flavescenza dorata, in crescita negli ultimi anni.
Ma vediamo come i nuovi vitigni, oltre a resistere alle malattie, sono più performanti nel contesto climatico attuale.
La storia dei PIWI
L’idea di creare varietà di vite resistenti ai funghi risale alla fine del XIX secolo, quando la filosofia agricola si concentrava sulla creazione di ibridi tra vitigni europei e americani.
In Europa la Francia ha avuto un ruolo primario nella prima fase di ibridazione, nel corso della quale il materiale genetico proveniente dal Nord America ha permesso di generare diversi esemplari, il più noto tra i quali è l’uva fragola. Gli incroci di origine tedesca sono conosciuti come PIWI, termine che si è diffuso anche in Italia grazie all’ associazione PIWI International, fondata nel 1999, che ne promuove la diffusione e lo scambio di informazioni tra produttori. Tuttavia, questi ibridi nei primi tempi non erano accettati in Europa perché producevano vini di bassa qualità e con un gusto “impegnativo”. È solo negli anni ’80 che i viticoltori europei hanno iniziato a sviluppare varietà resistenti ai funghi utilizzando solo vitigni europei.
I benefici dei PIWI
Questi vitigni sono stati selezionati per la loro capacità di resistere alle malattie fungine, come la peronospora e l’oidio, senza l’utilizzo di pesticidi, garantendo così protezione all’ambiente e migliorando la salute delle viti stesse.
I vitigni PIWI inoltre sono in grado di produrre uve di alta qualità e vini dal sapore unico capaci di affiancare e non sostituire i vitigni autoctoni, ai quali il nostro paese è fortemente legato. Sebbene ci siano ancora resistenze tra i consumatori, i produttori di vino che allevano PIWI stanno dimostrando che i vini prodotti con queste uve possono competere con quelli prodotti con varietà di vite tradizionali. Più dura sarà gestire l’impatto economico sulla filiera causato dal calo dei trattamenti in vigna.

La diffusione dei vitigni PIWI
Oggi i vitigni PIWI sono diffusi in tutta Europa e in altre aree come Australia e Stati Uniti. Ci sono centinaia di varietà di vite PIWI, ognuna con le proprie caratteristiche organolettiche. Anche in Italia sempre più viticoltori si stanno avvicinando a queste varietà, soprattutto nelle zone in cui la lotta contro le malattie fungine risulta particolarmente difficile, come aree umide o piovose. In Italia dal 2013 molte varietà PIWI hanno superato i test organolettici e sono state iscritte al Registro Nazionale delle Varietà di Vite guadagnando il nulla osta per la produzione e la commercializzazione (con la limitazione di non essere utilizzabili per i vini a Denominazione di Origine). Attualmente risultano iscritte al Registro Nazionale 37 varietà PIWI per la produzione di vino oltre Isabelle e Noha utilizzabili solo per la distillazione.
Pionieri in Italia: la famiglia Niedermayr
Uno dei primi ad aver creduto nei PIWI in Italia è Thomas Niedermayr.
Hof Gandberg si affaccia sul pendio assolato che guarda San Michele Appiano. E’ il regno della biodiversità e dei vini biodinamici da vitigni resistenti PIWI. Thomas crede fermamente che la condizione imprescindibile per la produzione di vini di qualità sia una suolo sano e fertile, ricco di piante resistenti e rigogliose. La sua tenuta ospita una fauna incredibile con anatre corritrici indiane, galline, e innumerevoli specie animali, in un contesto naturale in cui abbondano orti, verdure ed erbe aromatiche. Tra i filari le piante selvatiche crescono liberamente per concimare con il sovescio.

Il microclima
Il microclima intorno al maso, situato tra i 500 e i 530 m s.l.m., è influenzato dalle buche di ghiaccio e dal “Gandberg”, un imponente massiccio roccioso. Se da un lato l’introduzione dei vitigni PIWI determina un raccolto sano, dall’altro l’esperienza, la conoscenza e la dedizione della famiglia Niedermayr consentono di rinunciare agli interventi sistemici e di lasciare fare alla natura.
In vigna trovi uve bianche come Solaris, Bronner, Souvignier gris e Muscaris, e rosse come Cabernet Cantor e Cabernet Cortis, altre varietà sono invece in corso di sperimentazione. Thomas è figlio di Rudolf, , uno dei pionieri della viticoltura biologica in Alto Adige nella metà degli anni ’80 ancora operativo in azienda anche se Thomas gestisce la tenuta dal 2012. Qui la natura ha carta bianca anche in cantina, con fermentazioni spontanee nessuna chiarifica o filtrazione.
Se proprio dovessi dirti da dove partire non puoi rinunciare a provare il Solaris, intenso e aromatico, naso di intriso di frutta esotica a polpa gialla, spezie piccanti, sorso affascinante e goloso, fresco, vibrante, persistente. Di un fascino indescrivibile l’Abendrot, 100% Souvigner gris, colore ambrato, lucido, naso di prugna, amarena e mandorla, note resinose e cannella, sorso fresco e succoso, con un tannino appena accennato e lungo finale.
Solo per citarne alcuni.
Maria Grazia Narciso
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