Le Piccole Dolomiti e la Stonehenge della lucania, tra volo dell’angelo e peperoni cruschi
di Giuseppe Marro
E’ proprio vero ciò che mi disse trent’anni fa un vecchio lucano, quando vide le foto di uno dei miei viaggi in Anatolia: “Cosa andate a fare in giro per il mondo, qui abbiamo tutto!”. La saggezza dell’allora medico condotto di Brienza – paese che diede i natali a due grandi e controversi personaggi, Mario Pagano e Domenico Pellegrini Giampietro (quest’ultimo immortalato in un verso dei Canti Pisani di Ezra Pound) – aveva visto giusto e, parafrasandolo, mi chiedo se non sia giunto il momento di concentrare al Sud, nella Magna Grecia culla della civiltà occidentale, le incursioni di viaggiatori e di cercatori di verità – per citare Gurdjieff – che aborrono la forma mentis bovina del turista schiavo dell’apparire e dell’esotico ad ogni costo.
Paesaggi arcaici almeno pari a quelli della Cappadocia e dell’Arizona, foreste di querce e di faggi tra le più estese d’Europa, piccoli borghi abbarbicati intorno a castelli normanni e svevi che nulla hanno di meno rispetto a quelli toscani (se non la ricchezza materiale), siti archeologici che partono dalla civiltà megalitica per giungere a quella greco-romana, testimonianze artistiche dai bizantini fino agli epigoni locali della scuola napoletana del Seicento e del Settecento, un settore oleario vitivinicolo e caseario che produce eccellenze assolute, una cucina genuina e gustosa talvolta interpretata secondo il gusto moderno più raffinato: tutto ciò rende la Lucania un microcosmo unico nella sua avvolgente completezza da costa a costa.
Il Parco naturale delle Piccole Dolomiti della Lucania , una trentina di chilometri a sud di Potenza, è dominato da massicci pinnacoli rocciosi a strapiombo su di una natura lussureggiante e boschi di giganteschi cerri colonnati alti fino a trenta metri. Castelmezzano è inserito nell’elenco dei borghi più belli d’Italia, un vero presepe su pianta normanna a più di mille metri d’altitudine, con una miriade di B&b, agriturismo ed un confortevole albergo – La Locanda di Castromediano – il cui punto di forza è il ristorante Al Becco della Civetta, da un decennio segnalato dalla Guida Michelin grazie alla maestria della chef Maria Antonietta Santoro.
La cucina regionale fedelmente interpretata, una accurata selezione delle materie prime e una presentazione moderna dei piatti rendono piacevolissima la sosta in questo elegante ma non pretenzioso ristorante. In due serate – accompagnati dall’equilibrato Aglianico del Vulture Terre di Orazio 2017, della Cantina di Venosa – provati i peperoni cruschi (chi non li conosce ha perso un’esperienza sensoriale indimenticabile …) ripassati nell’ottimo olio locale, tagliere di salumi e formaggi locali, zuppa di fave con cicoria, strascinati mantecati nel caciocavallo con pomodori mollica di pane fritto e spolverata di peperoni cruschi, pasta di casa con ragù di pezzente (una succulenta salsiccia fatta con le parti povere del maiale), ricotta di podolica avvolta in zucchine marinate con fiori di zucca in pastella, agnello alle erbe aromatiche, dolci buoni anche se non entusiasmanti come il resto. Prezzo tra i 60 e i 70 euro in due.

Tra Castelmezzano e Pietrapertosa e ritorno, da non perdere l’esperienza – unica in Italia – del Volo dell’angelo: imbracati pancia in giù a cavi d’acciaio posti a oltre mille metri su burroni e cime montane, la sensazione è quella del volo dei rapaci (falchi, nibbi reali e gheppi) che popolano le vette lucane. Anche Pietrapertosa, un paesino aggrappato a cuspidi rocciose che vanta chiese quattrocentesche con affreschi del Seicento, rientra nell’elenco dei borghi più belli d’Italia. Un naturale fortilizio che fu rifugio dei patrioti (definiti briganti, ma si sa che la storia la scrivono i vincitori…) Neapolitani capeggiati dal leggendario Carmine Crocco, durante la sanguinosa insurrezione popolare post unitaria che coinvolse tutto il Sud Italia.
Tappa culinaria a La Casa di Caccia, una locanda immersa nei boschi che serve un antipasto che da solo vale la sosta: intorno ad una terrina con zuppa dei rari e saporitissimi ceci lucani, un uovo di gallina ruspante fritto con salsiccia pezzente e generosamente spolverato di tartufo nero estivo locale, assaggio di parmigiana, salamino dolce e piccante, soppressata, capocollo, ricotta e caciocavallo di podolica; dopo l’eccellente pasta di casa ci siamo arresi alla sazietà. Con un onesto vino della casa, acqua e amaro un conto ancor più onesto di 41 euro in due.
A pochi chilometri un altro sito da non perdere, che – se opportunamente valorizzato – potrebbe diventare un attrattore irresistibile per i milioni di appassionati di cultura megalitica e di riti pagani sopravvissuti alle distruzioni o alle sovrapposizioni cristiane.
Si tratta della cosiddetta Stonehenge della Lucania , l’antica città fortificata di Croccia Cognato sorta intorno ad una acropoli megalitica immensa posta sulla cima del monte Croccia (1149 metri). Gli allineamenti delle immense rocce sono posti, forse naturalmente, sull’asse est ovest a segnare con precisione i solstizi e gli equinozi. Nel vicino borgo di Accettura – ma anche in molti altri centri della zona – a maggio si svolge un complesso rito pagano che celebra l’innesto tra un enorme faggio e un agrifoglio, simboleggianti l’unione arcaica e perenne del principio virile e di quello femminile, del cielo e della terra.

Poco al di fuori dall’area del parco delle Dolomiti della Lucania merita una visita l’antica città arabo-normanna di Tricarico, con il suggestivo rione della Rabatana caratterizzato da una miriade di vicoli ciechi nei quali – dopo il 1860 – pochi soldati borbonici, col supporto della popolazione locale, trassero in trappola gli occupanti piemontesi.
Sarebbero troppi i punti di interesse storico e culturale che rendono imprescindibile questa sosta, mi limito a citarne un paio: il rinascimentale Palazzo Ducale, che ospita la fondamentale mostra permanente sulle testimonianze archeologiche del medio Basento, tra Tirreno e Ionio, e il Castello con la torre normanna, che fu teatro di un cruento episodio che vide protagonisti i conti dell’allora re di Napoli Ladislao da Durazzo, una figura gigantesca e misconosciuta della nostra storia che vide infrangersi il suo sogno di unificare l’Italia con quattro secoli e mezzo d’anticipo e su ben altre basi.
Il castello ospita, tra l’altro, una mostra fotografica di Cartier Bresson sul suo viaggio al Sud del 1952, straordinario documento sulle radici etnoculturali di una civiltà contadina purtroppo scomparsa. Tricarico in Lucania , patria del poeta e sindacalista dei contadini Rocco Scotellaro, è una tappa obbligata per i cultori della buona tavola: nella zona si allevano agnelli e capretti tra i migliori e si coltivano eccellenze.
E’ d’obbligo una sosta sia alla macelleria di piazza Garibaldi per acquistare, a prezzi irrisori, tra i migliori salamini e capicolli del globo che all’azienda agricola di Tiberio Tassinari, che coltiva uno zafferano purissimo in stimmi (18 euro al grammo in confezioni sterili da un quarto di grammo, ognuna delle quali regala profumi e sapori rari ad almeno otto porzioni di risotto).

Emozionante il gioco di luci, suoni e narrazione della Città dell’Utopia che rievoca la storia di Campomaggiore Vecchio, borgo rurale abbandonato per una frana nel 1885 e sorto nel 1741 su progetto dell’architetto Giovanni Patturelli (allievo di Vanvitelli), teatro di un esperimento sociale analogo a quello coevo della seta di San Leucio, a Caserta.
Da segnalare la rievocazione dell’epopea del brigantaggio (anti francese, nel 1799, e antipiemontese, dopo il 1860), quest’anno “causa pandemia” non messa in scena e che normalmente si tiene presso il parco boschivo della Grancìa a Brindisi di Montagna, un paesino che vanta un importante castello normanno la cui torre ospitava il laboratorio di un gesuita e alchimista del Settecento. (1-continua)