Niente vetrine, niente sala, niente servizio, niente ristorante: le dark kitchen sono il futuro della ristorazione? Chi può dirlo? Al momento, sembrano essere una valida alternativa nell’era covid.
Se è vero che anche da un terreno incolto può nascere un fiore perché è la volontà che muove le cose, e se è altrettanto vero che il Covid ha fatto a brandelli le nostre anime e le nostre menti è da quei pezzi che bisogna ripartire: elaborando nuovi sé, nuovi progetti per aggiustarsi.
Il comparto ristorativo ha dovuto adattarsi, farsi spazio nel mare magnum delle ingiustizie, sedendosi – delle volte non molto comodamente – in posizioni che prima non aveva pensato nemmeno di prendere in considerazione. Così, un po’ qua e là per combattere l’invisibilità – non solo del virus – sono nate le dark kitchen. Che però di oscuro non hanno niente. Le dark kitchen sono un trend diffusissimo, altrove. A Berlino, a Los Angeles, a Londra. Non in Italia. Dove, nonostante l’affanno, ci si arriva sempre dopo. “Dopo” una pandemia, ma ci si arriva.
E così, nel 2020 siamo scesi agli Inferi e siamo ritornati e – ahimè – non accompagnati da un affascinante Tom Ellis. E così il 2020 è stato l’anno dell’oscurità, quello che ci farà rabbrividire ogni volta ci sarà anche solo vagamente qualcosa che somigli a due venti attaccati, un orologio digitale che segna le 20.20, ad esempio.

Eppure, gli chef hanno aggiunto immaginariamente un’altra piega alla loro toque blanche: accanto ai 100 modi di cuocere le uova c’è anche un solo modo di fare cucina in un contesto turbolento tra mesi in lockdown, distanziamento, DPCM e restrizioni. Infatti, le logiche tradizionali del settore ristorativo basate sul servizio in sala sono state quasi totalmente surclassate da formule e modelli basati sulla delivery e naturalmente sull’asporto.
Una delle espressioni di questo cooking trend è, com’era intuibile, la dark kitchen. L’idea alla base è davvero easy peasy: cucine senza vetrine, senza sala, senza servizio…in pratica senza ristorante, pensate e progettate per consegnare il cibo on demand ordinando da remoto su piattaforme dedicate. Dunque, a reinventarsi non è solo chi materialmente fa cibo ma è anche la cucina esistente del suo ristorante.
Le dark kitchen fanno parte di un ben più grande concetto che è quello delle virtual kitchen che comprendono anche le cloud kitchen (uno spazio condiviso da più brand che lavorano così in co-working) e le ghost kitchen (in cui un operatore sfrutta un laboratorio dedicato in modo esclusivo alla delivery e non la cucina di un ristorante). Ma quanto ci piacciono questi prestiti linguistici?!
Il Covid ha cambiato tutto: le coscienze, i corpi, le menti, la scuola, il lavoro, i ristoranti, le pizzerie. Con essi anche i packaging, che ormai non sono più riducibili alla semplice scatola di cartone, scrigno geloso di una goduriosa pizza o di un sexy hamburger, ma si arricchiscono di soluzioni sempre più hi-tech e igienicamente sicure (vedi per esempio il sottovuoto pastorizzato o contenitori termici in grado di mantenere costante la temperatura). E non poteva essere altrimenti nell’era Covid, dove niente è uguale a prima.
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Marika Manna
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