Babberia Ai Tre Pini, il racconto di Luigi Donnarumma

“Il babà di Don Aniello è un’istituzione”: con queste parole esordisce Luigi Donnarumma quando inizia a raccontare la storia della sua Babberia. A Palma Campania, due anni fa, le fortunate vicende della nota pasticceria Ai Tre Pini di Aniello Simonetti si intrecciano con la lungimiranza imprenditoriale di un giovane di origini palmesi. La bontà di un babà realizzato seguendo un’antica ricetta, figlia di un’arte pasticcera fedele alla tradizione napoletana, diventa la fonte di ispirazione di uno sweet concept decisamente futuristico. Dalla memoria di una pasticceria d’autore nasce la Babberia Ai Tre Pini, una nuova formula che segue le ultime tendenze del settore dolciario. La produzione è certamente sui generis, perché è mono; il monoprodotto è, infatti, il babà. Luigi Donnarumma, affiancato dal direttore Aniello Sorrentino, ha ben pensato di “innovare la categoria della classica pasticceria napoletana”, attraverso una proposta esclusiva. Prima l’artigianalità tramandata da Aniello Simonetti; poi la competenza professionale dei due pastry chef della Babberia Ai Tre Pini, Giuseppe Miranda e Francesco Di Spigna, hanno, rispettivamente, stimolato e alimentato la creatività sperimentale di Luigi Donnarumma, l’ideatore di questo food format, che sottolinea: “Ad ogni ricorrenza o giornata speciale corrisponde un formato specifico e un gusto particolare”.

Pochi e semplici ingredienti danno vita ad un impasto morbido, che deve risultare sempre “ben incordato”, destinato ad una lunga e lenta lievitazione in uno stampo a tronco di cono allungato. Farina, zucchero, uova, burro, sale, rhum e tanta pazienza per avere un babà evidentemente soffice, dolce al punto giusto, con un morso perfettamente alveolato, goloso in superficie e con un cuore “impregnato” di sapore. I mignon sono una vera delizia, piccoli bocconi da spiluccare uno ad uno; il babà standard, quello da gustare al naturale, regala circa 100 grammi di piacere incondizionato, che diventano più o meno 150 se la scelta ricade sul babà farcito, dall’aspetto diplomatico. Arte e tecnica rivelano una proposta dolciaria versatile. La versione con chantilly e fragoline è un trionfo di gusti delicati e consistenze vellutate: la scioglievolezza della crema aromatizzata si combina con la freschezza dei frutti rossi; la bagna aggrega, con la sua leggerezza, la farcitura alla sua decorazione.

L’alternativa è una variante al cacao, “il babà scuro”, lasciato inizialmente “in ammollo”, in un cognac invecchiato, prima di essere cosparso con una spuma di cioccolato fondente al 70% . Per uno street food non convenzionale, anzi decisamente inatteso, il babà è al bicchiere: un fungo moderno “inzuppato”, stratificato, glassato, guarnito e poi finalmente assaporato in un modo che si distacca da quello classico, rivoluzionandolo. La torta babà, liscia o pieghettata, ha un taglio compatto, né troppo umido, né troppo secco; in ogni singola fetta la lucentezza di un colore ambrato si alterna ad una texture spugnosa che esibisce una tonalità più chiara. E quando la veracità di un’icona della pasticceria napoletana si confronta con l’immaginazione di grafici, illustratori, designers e pittori, il risultato finale è BABART: la mostra d’arte solidale organizzata e promossa lo scorso anno da Luigi Donnarumma per dare sfogo alla fantasia altrui, ma soprattutto per valorizzare la dolce sagoma del babà con una “farcitura” creativa e ovviamente originale.

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Felicia Mercogliano

Quando scrivo sono consapevole del gesto che sto per compiere ma non delle parole che userò. La mente si apre, i pensieri volano via, le parole arrivano a destinazione in un modo così naturale, il che mi sorprende ogni volta. Amo scrivere su carta, usare la penna, una matita, i colori. Sulla mia scrivania c’è sempre almeno un libro, la sua presenza mi sprona a fare di più e ogni volta meglio. Il contatto materiale per me è liberatorio, questo mi emoziona.

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