“Bevanda, cibo: per me il rum era tutto; come marito e moglie, eravamo”. In questo modo accorato lo scrittore britannico Robert Louis Stevenson descriveva il noto liquore tra le pagine della sua opera più conosciuta, L’isola del tesoro. Il rum è il tesoro dell’isola di Cuba, situata nello scintillante Mar dei Caraibi, e fa da sfondo alle vite lente e assolate del popolo cubano (magari accompagnato da un classico sigaro locale).

Cuba e il rum: un legame patrimonio dell’umanità
Da precisare che nei paesi di lingua spagnola il termine corretto sarebbe “ron” ma, essendo solo una scelta di stile (o commerciale), nulla vita a questo liquore di chiamarsi rum, ron o rhum a prescindere dal luogo di produzione. Ad ogni modo, la maestria dei cubani nella produzione di rum leggero non è passata inosservata in sede Unesco che, nel 2022, ha elevato la “Knowledge of the light rum masters” nell’olimpo dei patrimoni immateriali dell’umanità. Secondo l’apposita scheda informativa pare che quella del rum leggero sia una tradizione trasmessa di generazione in generazione dal 1862, quando questo prodotto emerse a Santiago. Da allora, i maestri cubani hanno messo a punto una sorta di “codice” mirato a garantire che la produzione sia in armonia con l’ambiente e con la tradizione dell’isola.


Il rum di tipo “cubano” rappresenta solo una delle tipologie di tale liquore che può essere anche agricolo, commerciale, tradizionale, ecc. Naturalmente, a seconda sia del luogo che del processo di produzione cambiano aroma, profumo, colore e consistenza. Il rum prodotto sull’isola cubana è frutto di diverse partite di distillati ed è il risultato di studi approfonditi che riguardano i lieviti da impiegare al fine di trovare la giusta “formula” di miscelazione tra gli stessi.

La produzione cubana di rum
Pare che la storia del rum sull’isola risalga a quasi quattro secoli prima del 1862, quando gli indigeni locali ne scoprirono le proprietà a partire dalla lavorazione della canna da zucchero. Ma la vera particolarità è che a portare nei Caraibi questa pianta fu un illustre italiano: Cristoforo Colombo. Il celebre navigatore portò con sé le piantine di canna da zucchero nel 1493 a Santo Domingo. Rapidamente, la coltivazione si estese ai territori vicini, Cuba compresa. In poco più di un secolo le colonie spagnole d’oltreoceano divennero la più grande riserva di zucchero del mondo.


La Habana (in italiano L’ Avana), capitale della Repubblica cubana, ospita anche un Museo del Ron, locato in una mansione di epoca coloniale e a pochi passi dal porto cittadino. L’iniziativa si deve alla fondazione Havana Club e permette ai turisti di vivere da vicino l’esperienza della tradizione locale del rum. Tra artigiani al lavoro, spiegazioni, macchinari e degustazioni si tratta di una realtà attrattiva simile ad una più vicina a noi: vi dice niente la famosa Guinness Storehouse a Dublino?
Altre curiosità gastronomiche di Cuba
Va bene il rum, ma da mangiare? Cuba ha molto da offrire anche a tavola essendo la gastronomia nazionale frutto di commistioni provenienti da diverse culture, in primis quella spagnola. Per esempio, alla tradizione caraibica fatta di frutta, verdura e pesce si unisce quella iberica della carne, soprattutto di maiale. I principali piatti dell’isola, come verrà descritto tra qualche riga, spesso rappresentano appieno questo spirito di mescolanza culturale.

Il maiale, come il vitello, è il protagonista della ropa vieja, carne speziata servita a straccetti con pomodoro, peperoni e riso. Con pancetta, riso, spezie e fagioli neri si prepara invece un piatto chiamato moros y cristianos. Altri piatti locali sono l’ajiaco, minestra con banane, pollo, patate dolci, mais e carne, e il fufu, un purè di olio, aglio e banana. Chicharrones e chicharritas sembrano simili ma sono molto diversi. I primi, restando in tema di maiale, sono pezzi di cotenna fritti e oltre che nella cucina cubana sono conosciuti anche in altre parti del mondo. Le seconde, invece, sono delle gustose “patatine” di banane fritte, ideali per lo street food e tipiche del mondo caraibico.



“Viva la revolución”. L’epopea di Fidel Castro
Non serve essere stati a Cuba per comprendere l’enorme peso che la revolución di oltre mezzo secolo fa ha avuto sulla società cubana. Qualche cenno a quel periodo storico può aiutare a capirne di più.
L’isola subì una frattura epocale tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo. Sinteticamente, da tempo la Repubblica versava in una situazione di aperta dittatura, quella del generale Fulgencio Batista. Nella fase più palese di questo regime l’allora presidente arrivò a sospendere la Costituzione del 1940 (una delle più progressiste dell’epoca) e ad instaurare un clima di terrore che purtroppo accompagnò prima e dopo quegli anni quasi tutta l’America Latina. Un giovane avvocato locale, dalle idee politiche ribelli, decise di usare prima i fatti e poi le parole. Un rampante Fidel Castro, insieme al fido fratello Raul e alla testa di altri compañeros, organizzò l’assalto alla caserma militare Moncada per sottrarre armi al regime da utilizzare contro lo stesso. L’iniziativa del 26 luglio 1953 si rivelò un disastro: molti di quegli uomini morirono e altri furono imprigionati, tra cui i fratelli Castro.


Durante il processo per il fallito assalto il futuro leader maximo tenne un’arringa di ben quattro ore che però non lo salvò dal carcere, dal quale uscì anni dopo grazie ad un’amnistia voluta proprio da Batista. Fuggiti all’estero nel 1955, i fratelli conobbero un avventuriero argentino, Ernesto “Che” Guevara, col quale organizzarono una disperata operazione di reconquista di Cuba. Con appena ottanta uomini tutti a bordo della barca Granma, Castro e i suoi riuscirono a sbarcare sull’isola. Anni di guerriglia dopo, il 31 dicembre del 1958, Batista fuggì dal paese lasciando aperta la strada al trionfo del Movimiento 26-7 (in onore dei fatti della Moncada) che subito si instaurò un nuovo governo rivoluzionario e perpetuo.
L’avvento del comunismo a Cuba
Il regime di Batista si basava su buoni legami con gli Stati Uniti (cui vennero fornte le basi cubane nella Seconda guerra mondiale), sull’economia di mercato e sull’ideologia reazionaria: quanto di più lontano dal comunismo dei primi anni Sessanta, in piena Guerra fredda. Il nuovo regime “scelse” da che parte schierarsi il 16 aprile 1961, suscitando la reazione di Washington che inviò una spedizione per rovesciare Castro conosciuta come notoriamente come “invasione di Baia dei Porci”. Fu un fallimento epocale per la Casa Bianca. Nella data poc’anzi citata, il leader maximo aveva battezzato Cuba e la sua rivoluzione nel socialismo, confermando poi tale scelta con una serie di discorsi successivi alla tentata invasione. Da allora i rapporti tra Cuba e l’Urss si strinsero a tal punto che da Mosca si ordinò l’invio di missili da installare sull’isola caraibica: nel 1962 tale evento diede vita alla celebre crisi dei missili.

Venuta meno l’Urss e tutto il blocco comunista dell’Europa orientale, Cuba visse un momento di profonda crisi conosciuto come “periodo especial”. Il regime castrista tenne duro allora come prima e dopo, senza mai cedere di un millimetro sulla centralità del Partito comunista di Cuba e sull’assetto politico della Repubblica. Nonostante gli “attacchi” diplomatici di Bush e Trump così come i vari embarghi, l’isolamento internazionale e la morte di Fidel Castro nel 2016, Cuba è ancora un paese a guida comunista, seppur da tempo l’economia abbia iniziato ad aprirsi timidamente ai privati. Ad oggi le uniche nazioni al mondo comuniste sono Cuba, Cina, Laos e Vietnam. Anche la Corea del Nord andrebbe inserita in questo elenco, ma da quelle parti ufficialmente si segue un rigidissimo impianto ideologico-economico basato sui dettami della particolare ideologia di Pyongyang, il Juche.
Mario Rafaniello
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