Parlando generalmente di made in Italy il pensiero va subito a tutto quel patrimonio racchiuso nelle parole “saper fare” che hanno reso inimitabile (o quasi) l’italianità nel mondo. Automotive, arredamento, abbigliamento e automazione – le famose quattro “A” del made in Italy– sono solo alcuni dei comparti dove le abilità italiane dominano sul mercato globale. L’agroalimentare, per la sua natura peculiare e per il suo successo su ogni fronte, è praticamente una categoria a parte.
In particolare, il cibo italiano è diventato nel corso di oltre mezzo secolo un fattore non solo culturale, ma anche dal grande peso economico. Proprio tale traguardo ha portato negli anni ad un aumento spropositato del falso made in Italy agroalimentare generando fatturati che ammontano a miliardi di euro: un vero e proprio mercato ombra parallelo. Tra le moltissime facce del falso made in Italy vi è un fenomeno conosciuto come Italian Sounding, tanto semplice nella realizzazione quanto efficace -purtroppo- nei risultati.
Cos’è l’Italian Sounding
Con l’espressione Italian sounding si fa riferimento a quel complesso di pratiche commerciali mirate a creare un “richiamo” all’Italia riguardo un determinato prodotto che di italiano, spesso, non ha nulla. In altre parole sfruttando immagini, colori, loghi, parole, simboli o altro che rimandino vagamente all’Italia questi prodotti suscitano nella clientela l’illusione che gli stessi abbiano davvero qualcosa a che fare con il Belpaese. Si tratta nello specifico di “tattiche” presenti sulle etichette o confezioni che grazie alla fama e al peso culturale che i prodotti italiani hanno nel mondo inducono i consumatori all’acquisto. Questi ultimi talvolta sono poco accorti o poco informati sia sui rischi del falso e spinti soprattutto dai prezzi competitivi dal falso rispetto all’originale.
Si pensi, per avere un’idea, a prodotti realizzati con materie prime di altri Paesi e solo lavorate o confezionate in Italia, o nemmeno quello. Viaggiando all’estero e girando nei supermercati non è difficile imbattersi in cibi prodotti localmente con scritte, colori e simboli che in teoria dovrebbero richiamare l’Italia. Immagini che imitino le sigle Dop, Doc, Igp e simili, la bandiera italiana, nomi celebri millantati come Roma, Firenze o Napoli e infine l’utilizzo di parole del cibo famose come Pomodoro, Chianti, Parmigiano, Mozzarella ecc. Spesso si ritrovano invece storpiature o vaghe imitazioni di questi nomi come il celebre Parmesan o la Mozzarella Mu Mu in Giappone.
Le caratteristiche del fenomeno
In generale, come accennato, i numeri del falso made in Italy agroalimentare sono enormi e il contributo dell’Italian Sounding a tale mercato parallelo non è indifferente. Si tratta di un fenomeno diffuso per la maggior parte in tutto il continente Americano così come in Australia e anche in non pochi Paesi europei generando un valore di oltre 100 miliardi di euro. Nel nostro Paese l’agroalimentare vale ben 538 miliardi di euro, quasi un quarto del Pil del Paese (nel 2021) e numerose sono state le iniziative del Governo italiano per la valorizzazione del made in Italy agroalimentare.
Di per sé l’Italian Sounding nasce concettualmente come fenomeno positivo: il fatto che un prodotto italiano susciti nel consumatore sentimenti di fiducia, affidabilità e qualità dovrebbe essere un vanto. Normalmente è così ma l’espressione in esame è ormai divenuta negli ultimi decenni il simbolo della deriva negativa del richiamo al made in Italy. Nello specifico il problema nasce se l’etichetta o la confezione lascino intendere che quel prodotto provenga direttamente dal nostro Paese o ivi siano state prelevate le materie prime. I prodotti più colpiti sono ovviamente i più famosi, quelli potenzialmente più redditizi: salumi, formaggi, vini, olio e salse.
I rischi dell’Italian Sounding e come combatterlo
Trattandosi di prodotti che vantano qualità assenti il rischio per il consumatore non è solo legato all’acquisto di un prodotto falso, ma potenzialmente anche alla propria salute. Pensare al finto prodotto italiano solo come più scadente rispetto all’originale può distrarre da altri pericoli, come l’alterazione delle etichette o la sicurezza sul processo di produzione e sui relativi controlli. Oltre a questi rischi vi è l’enorme danno economico e materiale subito dalla vera filiera del made in Italy agroalimentare controllata e garantita. Le imprese esportatrici patiscono nei mercati esteri la concorrenza dei prodotti “fake” italiani non potendo offrire prezzi al limite dell’irrisorio come spesso accade per l’Italian Sounding prodotto in loco.
Inoltre il consumatore di altri Paesi non sempre è a conoscenza delle marche e dei segni distintivi del vero made in Italy e può ritrovarsi a non saper distinguere un vero da un falso. Sotto questo aspetto sono fondamentali tutte quelle iniziative (eventi, masterclass, app, manifestazioni a tema) sia nazionali che in seno all’Unione europea mirate a far conoscere le eccellenze agroalimentari italiane nel mondo, suscitando l’interesse della clientela estera, sempre più alla ricerca del vero cibo italiano di qualità. Infine, ad essere penalizzati sono anche i produttori locali dei mercati esteri di riferimento che, al netto della genuinità dei loro prodotti, faticano a competere con altri i quali sfruttano l’irresistibile richiamo all’Italia.
Mario Rafaniello
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