L’amore, la luna, la pace, la guerra, la vita, la morte. L’elenco delle “cose” che da sempre hanno ispirato poeti e scrittori tende all’infinito. Quest’ultimo, di leopardiana memoria, ci ricorda che non ci sono limiti all’immaginazione: “e il naufragar m’è dolce in questo mare“. Strano ma vero, anche il cibo ha suscitato in molti autori e autrici passati e presenti sentimenti poetici e letterari. Da Baudelaire a Trilussa, da Garcia Lorca a Rodari, da Pascoli a Eduardo De Filippo, solo per citarne alcuni.
Tra questi vi è anche Pablo Neruda, uno dei poeti più amati in Italia. Le sue opere maggiormente conosciute sono I versi del Capitano, Canto generale, Confesso che ho vissuto, Cento sonetti d’amore e Splendore e morte di Joaquin Murieta. Il poeta ha trattato temi struggenti e profondi che spaziano dalla gioia di vivere, al lutto, all’orrore della guerra e fino a cose più frivole come il cibo. Nella sua sterminata produzione letteraria figurano anche delle raccolte di Odi tra cui, appunto, alcune dedicate alla buona tavola.

“Ode al vino e altre odi elementari”
Acuto osservatore e intellettuale instancabile, Neruda non trascurò la quotidianità spicciola, quella che accompagna ogni esistenza. Questa particolare sensibilità portò il poeta cileno a scrivere una serie di opere conosciute come “odi”: Le Odi Elementari, Le Nuove Odi Elementari, Il terzo libro delle odi. A loro volta queste odi ne contenevano altre, come si dirà più avanti per quelle gastronomiche. L’intento generale delle odi era celebrare le piccole cose che circondano l’uomo, quelle di cui spesso ci dimentichiamo e che invece caratterizzano le nostre vite. Ovviamente non può mancare il cibo, fonte di vita e lavoro.

L’Ode al vino si trova in quelle elementari e ne celebra la maestosità e l’importanza. Le Odi elementari in oggetto contengono anche poesie rivolte al mare, alla tristezza, al tempo, ecc. A chiudere la raccolta è proprio il vino descritto come colore del giorno e della notte e figlio della terra morbido e vellutato. Il vino è amorevole e sospeso, si nutre di ricordi mortali. Con esso si piange e si ride, si ricordano cose tristi e cose di primavera. Il vino porta baci, è corposo e rassicurante come le forme femminili, fa perdere i sensi. Il vino infine, scrive Neruda, è amicizia e amore, trasparenza e disciplina, è ricordare la terra e i suoi doveri.

Altre Odi gastronomiche
Oltre al vino vi sono odi dedicate a molti cibi. Tra le più note, certamente, le odi al pomodoro e al carciofo. Altre odi celebrano, tra l’altro, il pane, il limone, l’olio, la castagna e persino la cipolla. Ogni volta Neruda spende la propria geniale sensibilità per esaltare l’unicità e l’intrinseca bellezza di ogni prodotto della terra. Il pomodoro, per esempio, riempie le cucine ed emana una luce propria, una “maestà” benigna. Il carciofo, invece, Neruda lo descrive come un guerriero orgoglioso pronto alla guerra e che finisce, suo malgrado, cotto in pentola. Anche la castagna per il poeta è come un guerriero. Essa vive nei boschi e si crogiola nella bellezza dei colori d’autunno.


“Adesso, intatto sei azione d’uomo miracolo continuo, volontà di vita“. Così è descritto il pane in un passo dell’omonima ode, una delle più elaborate. Il pane per Neruda è simbolo di condivisione, va rispettato e deve anche combattersi per esso. Il pane cresce come il ventre materno tra acqua e fuoco, è calore e fecondità: “la ricompensa della più lunga e dura lotta umana“. I dorati limoni, tenera mercanzia, portatori di luce, “raggio di luce convertito in frutto, il minuscolo fuoco di un pianeta“. Anche l’olio è visto come un miracolo nelle mani dell’uomo. Neruda cita alcuni luoghi che generano tale meraviglia tra cui Anacapri e parla dell’olio che canta, che vive, che porta pace e tesori. Infine, la cipolla che nasce sotto terra per poi emergere brillante, generosa, pronta a fumare nella pentola a disposizione della cucina. In quest’ultima ode, come anche in quasi tutte le altre, vi sono accostamenti tra i prodotti della terra e le figure femminili.


Il sentimento e l’impegno come ideale di vita
Il vero nome del celebre poeta era Ricardo Eliezer Neftalì Reyes Basoalto. “Pablo Neruda” fu uno pseudonimo scelto in onore dello scrittore cecoslovacco Jan Neruda. Costui visse nel XIX secolo è fu l’autore de I racconti di Mala Strana, nota raccolta di racconti ambientati nell’affascinante Praga dell’epoca. Ad ogni modo, Pablo Neruda ebbe una vita degna di una produzione cinematografica. A soli vent’anni riscosse già un notevole successo con raccolte come Crepuscolario e Venti poesie d’amore e una canzone disperata. Oltre che poeta fu giornalista e scrittore. Importante è stato anche il lavoro diplomatico come console con esperienze in Birmania (oggi Myanmar), Ceylon (oggi Sri Lanka), Argentina, Francia e infine Messico.
Neruda fu inoltre senatore e militante del Partito comunista, subendo per quest’ultima attività persecuzioni e censure. Venne costretto all’espatrio dal regime autoritario di Gabriel González Videla. Come non bastasse, l’ideologia politica del poeta gli costò per anni la vittoria del premio Nobel che arrivò solo nel 1971. Essendo ormai da tempo uno dei massimi interpreti della poesia in lingua spagnola, era opinione comune che Neruda meritasse quel premio. La lontananza dal Cile lo condusse però a viaggiare per il mondo visitando Urss, Polonia, Ungheria, Italia (si stabilì per un periodo a Capri) e poi altrove tra Europa, Asia e di nuovo America Latina. Sostenitore del socialista Salvador Allende, Neruda assistette nel crepuscolo della sua vita al triste avvento di Augusto Pinochet. Morì dodici giorni dopo l’infausto golpe dell’11 settembre 1973, in circostanze mai del tutto chiarite.

Mario Rafaniello
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